sabato 10 dicembre 2016

Fluctuat nec mergitur





Prendo in prestito il motto della città di Parigi – colpito dai flutti non affonda – per tentare di sintetizzare in una giornalistica battuta la complessa e non facilmente leggibile situazione determinata dal risultato referendario del 4 dicembre.


Il multiforme contesto induce ad articolare una riflessione per singoli punti, tentando poi una chiusura di sintesi.


In primo luogo va sottolineata l’asprezza del confronto spesso degenerato in aperte manifestazioni di inusitata violenza verbale; la diffusione e la reiterazione di tali comportamenti, amplificati oltre misura dalla pervasività del mezzo telematico dei social, fa ritenere che il tratto comune sia in quella che designerei come la negazione dell’interlocutore; non si percepisce più chi si ha difronte come contraddittore ma piuttosto come ostacolo all’affermazione della propria verità o del proprio interesse, se non come vero e proprio nemico da abbattere;


tale preoccupante atteggiamento, oltre ad essere determinato da una pesante e perdurante situazione di crisi economica, trova nel mezzo telematico una particolare copertura, quasi che la veicolazione attraverso i social, evitando il contatto diretto e visivo e liberandoci dall’obbligo di “guardare una persona negli occhi”, sia salvacondotto e guarentigia per la liberazione degli istinti più repressi e asociali, che albergano nel fondo di ognuno di noi;


il dato è particolarmente preoccupante, perché si sostituisce il confronto lungo le linee della ragionata esposizione delle rispettive , con una sorta di virtuale battaglia di slogan agitati come le lame rotanti di Ufo robot e condite dalla sistematica denigrazione ed umiliazione del (contradditore /) nemico; è necessario che la politica si faccia carico di disinnescare la perniciosa carica esplosiva di tali comportamenti, riproponendo un confronto dialogico e democratico, secondo strumenti aggregativi e di azione più adeguati ai tempi.


Ritengo che il primo portato di questo referendum sia un elemento di chiarezza, da identificarsi in una ideale linea di confine tra chi è animato da propositi di reale cambiamento dell’esistente e coloro i quali invece sono arroccati in una oggettiva posizione conservativa;

la proposta partizione potrà essere, prima facie, tacciata di eccessiva semplificazione, ma ritengo sia un legittimo tentativo di disegnare una possibile chiave di lettura dell’esistente e dei suoi futuri potenziali sviluppi;


chi ha sostenuto il SI alla riforma ha aderito convintamente alla necessità di strutturare l’apparato statale ed amministrativo (e non i principi fondanti della nostra Repubblica, immodificati) in un modo più corrispondente alle esigenze della odierna realtà internazionale, europea ed economica; la condivisione dei principali punti della riforma, quali il superamento del bicameralismo perfetto, la regolazione della decretazione d’urgenza e l’introduzione del voto a data certa, l’abolizione definitiva delle province e del CNEL, l’introduzione del referendum abrogativo a quorum variabile e di quelli propositivi e di indirizzo, la riscrittura del riparto di competenze tra Stato e Regioni, la competenza dello Stato di dettare regole generali e comuni per assicurare l’esercizio effettivo in tutto il territorio nazionale dei diritti garantiti dalla prima parte della Costituzione, l’introduzione dei principi di trasparenza nell’azione della PA, l’esercizio delle funzioni amministrative secondo i principi della semplificazione e della trasparenza e con  criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori, i limiti agli emolumenti dei consiglieri regionali ed altri, ampiamente oggetto della compagna referendaria, mi esime dal riproporne il riesame;


chi ha votato NO ha sostenuto l’esistenza di una lesione alla sovranità popolare, sostanziata dalla mancata previsione nel testo della riforma della elezione a suffragio diretto dei futuri senatori, della farraginosità del procedimento legislativo, stante le differenti competenze delle due camere, il pericolo, favorito dalla legge elettorale denominata Italicum, della concentrazione del potere in un solo partito e consequenzialmente nelle mani del leader di quest’ultimo; intorno a questi argomenti nel merito della riforma, si sono coagulati la conservazione degli interessi lesi dalla riforma (per un esempio locale, rinvio alla freddezza in campagna elettorale della stragrande maggioranza dei consiglieri regionali qui in Calabria), la paura del cambiamento ed un voto di contestazione nei confronti del governo e del suo primo ministro; e questo coacervo è tanto più confermato, in questa parte meramente demolitiva della proposta di rinnovamento e conservativo dell’esistente, dalle successive prese di posizione delle maggiori forze che hanno sostenuto il NO (Movimento 5 Stelle e la Lega Nord), che si limitano a reclamare le dimissioni del premier in carica e il ricorso immediato alle urne (per una interessante lettura su questo aspetto meramente demolitivo in chiave psico-politica: http://www.unita.tv/interviste/recalcati-un-paese-vittima-dellodio-che-gode-nella-distruzione/).


La varietà ed eterogeneità delle motivazioni del NO sopra tratteggiate rendono il cumulo dei voti ottenuti da questo schieramento una somma difficilmente traducibile in una proposta politica concreta e coerente, tale da trasformarsi in un programma di governo condiviso; in altri termini, se il fronte del NO è certamente una maggioranza referendaria, altrettanto certamente non è una maggioranza politica; al contrario, lo schieramento del SI ha una sua coerenza interna, risultando essere certo minoranza referendaria, ma incontestabilmente, maggioranza (relativa) politica; fluctuat nec mergitur;


per queste ragioni ritengo non condivisibili i trionfalismi di chi parla di vittoria di popolo ovvero di patriottismo costituzionale; tali giudizi tranchant tendono a nascondere (chi in modo consapevole a fini strumentali, chi in modo ingenuo ma politicamente miope) la oggettiva varietà di motivazioni nel tentativo di far apparire come unitari e coesi i consensi ottenuti.


La tesi interpretativa suggerita mi sembra confortata dall’analisi dei voti numerici e non percentuali; i voti ottenuti dal Sì nel referendum di domenica (12.709.515) sono superiori alla somma dei voti (12.375.211) ricevuti alle Europee del 2014 dal Pd (11.172.861) e da Ncd (1.202.350); sono anche superiori anche ai voti ottenuti dal Pd di Walter Veltroni nel 2008 (12.095.306), la cui coalizione riuscì a raggiungere quota 13.689.330 voti solo grazie all'aggregazione di forze non assimilabili alla galassia riformista come Italia dei Valori (1.594.024); ampiamente superiori anche ai voti conseguiti nel 2013 dal Pd con la segreteria di Pierluigi Bersani (8.646.034 voti) con una coalizione composta da Sel, Centro Democratico, e Svp. Per un raffronto con il referendum del 2006 sulla riforma costituzionale approvata dal centrodestra abbiamo il Sì (9.625.414) con il 38,36% e il No (15.467.363) 61,64% (http://www.huffingtonpost.it/andrea-camaiora/il-nuovo-partito-di-renzi-ce-gia_b_13452824.html).


Le analisi del voto dimostrano, peraltro, che il voto contrario è stato spinto da condizioni di marginalità e disagio sociale, percepite come forti e di cui nella manifestazione di voto si è contestata l’esistenza al governo, addebitandogli la incapacità di interpretare e risolvere tali problemi (in dettaglio http://www.cattaneo.org/press_release/referendum-sociale-o-costituzionale-torna-il-problema-delle-periferie-per-il-pd/).


Questo dato induce a riflettere sulla attuale capacità delle cc.dd. classi dirigenti o elite di governo di cogliere realmente e dare risposte alle esigenze e i problemi dei cittadini (per un’analisi su un tema diverso – Brexit – ma calzante nella disamina e nella soluzione indicata, Stephen Hawking  http://www.repubblica.it/economia/2016/12/07/news/le_e_lite_imparino_l_umilta_o_il_populismo_sara_trionfante-153609352/); invero, la chiusura delle elite di governo in moduli di analisi e di ragionamento in parte superati dai tempi, supportata da una presunta consapevolezza di essere portatori della posizione giusta in assoluto e come tale sottratta ad ogni debito confronto democratico, trasuda in una insopportabile hybris intesa come orgoglio, superbia, intollerabile e quindi drasticamente rifiutata in ogni occasione elettorale che si presenti da coloro che si sentono esclusi e non garantiti da tali processi decisionali ristretti nella decisione di pochi;


ulteriore dato confermativo è l’alta partecipazione alle urne referendarie, che ha fatto accorrere al voto una considerevole quota di astenuti ‘cronici’ per far sentire la loro voce di protesta (http://www.cattaneo.org/press_release/la-partecipazione-elettorale-al-referendum-costituzionale-del-4-dicembre-2016/); donde il ponderato e condivisibile richiamo all’umiltà di Stephen Hawking .


L’ampio divario tra i consensi del SI e del NO rende non soltanto numericamente ma anche e soprattutto politicamente irrilevante il contributo dato dalla sinistra al di fuori ed interna al PD alla vittoria del NO; il risultato colto nell’immediato è sterile in una prospettiva futura, come in ogni politica meramente demolitiva o di contrasto (http://www.cattaneo.org/press_release/voto-per-il-no-e-voto-alle-elezioni-politiche-del-2013/).


All’esterno il vero vincitore del NO è Beppe Grillo con il suo M5S e Salvini con la Lega; in misura minore Meloni e FI del redivivo Berlusconi; all’interno la sinistra PD è minoranza nel partito, salvo che non vi sia un improbabile rompete le righe nello schieramento che sostiene l’attuale leader, il quale avrà gioco facile ad un futuro eventuale congresso.


Ipotizzando una conclusione, direi che dal voto referendario e dalle considerazioni sopra svolte discende con urgenza la necessità della ricostruzione del soggetto partito come agorà collettiva di confronto e sintesi nella elaborazione di una proposta politica; soltanto una organizzazione di gruppo può garantire contro i rischi di un personalismo leaderistico; non soltanto per evitare il noto brocardo simul stabunt simul cadent che si realizza quando la proposta politica nasce cresce e si sviluppa attorno ad un singolo, legando i propri destini indissolubilmente ai destini personali del leader (si pensi a Forza Italia oggi e, in prospettiva contraria, al M5S); 
quanto piuttosto per essere la prospettiva di azione del gruppo necessaria garanzia di respiro diverso da quella del singolo, che potrebbe essere tentato ad azioni politiche utili al suo tornaconto ma dannose per la collettività ed il gruppo da esso rappresentato; il soggetto collettivo partito, nella sua necessaria anche se a volte estenuante mediazione e confronto di interessi diversi, garantisce una migliore interpretazione dell’interesse collettivo.


Se la politica è l’arte di mettere in moto la realtà, diventa necessario e non più rinviabile avviare la riflessione sulla forma partito, avendo ben presente che soltanto uno strumento partito realmente aperto e condotto attraverso un confronto dialettico su temi e proposte concrete (e non su carrierismi personali o confederazioni di correnti che si muovono secondo logiche di opportunistica conservazione del potere) potrà avere una qualche speranza di recuperare il divario sempre più ampio che si registra tra la classe dirigente e l’elettorato, che sempre più spesso si rifugia nell’astensione, laddove non individua proposte politiche condivisibili nelle consultazioni politiche, o nel voto di pura protesta, come nel recente caso referendario.

venerdì 24 giugno 2016

Primo turno, ballottaggi e PD: harambee !







È opportuno rammentare, preliminarmente ad ogni valutazione sulla tornata elettorale appena passata, il brutale omicidio dell’On.le  Helen Joanne Cox, deputata laburista, avvenuto il 16 giugno scorso, nel pieno della campagna elettorale del referendum sulla Brexit,  non perché punga vaghezza di esterofilia, ma per un convinto invito alla riflessione sul clima di violenta contrapposizione che si determina sempre più nelle competizioni politiche, al punto di trasformare la già di per sé abnorme ed inconferente violenza verbale, in vera e propria violenza fisica da scaricare su un avversario da abbattere.

L’On.le Cox appare vittima di un duplice omicidio: la prima volta sotto i colpi del folle aggressore, la seconda volta per le elucubrazioni di alcuni commentatori e sondaggisti che prevedevano (erroneamente, dopo i risultati del referendum sulla Brexit) che il delitto avrebbe lanciato in ripresa il remain sul leave, quasi che i progetti politici potessero essere costruiti o, peggio, avessero bisogno del sangue delle persone per la loro compiuta realizzazione.

La perdita di senso dei valori di umanità, che dovrebbero essere non elementi di un patrimonio di una o di un’altra parte politica, ma pre-condizioni minime del vivere sociale, è assolutamente drammatica e dirompente.

In Italia ci stiamo avvicinando ad una nuova rovente campagna elettorale sul prossimo referendum confermativo della riforma costituzionale, in cui appare quanto mai opportuno evitare toni accesi che nuocciono ad un corretto confronto e lasciano nell’ombra le ragioni concrete per cui si dovrebbe sostenere o contrastare una riforma costituzionale di questa portata.
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L’ultimo appuntamento elettorale, certamente di natura amministrativa, presenta pur tuttavia alcuni aspetti di rilievo squisitamente politico, sia per la rilevanza di alcuni centri andati al voto, Roma, Milano, Torino, Napoli per citare i più rilevanti, (1.342  comuni,  di cui 25 capoluoghi di provincia  e 7 capoluoghi  di  regione) sia per la estensione del campione elettorale coinvolto (13.316.379 elettori).

Nel primo turno, si conferma la tendenza all’aumento dell’astensionismo, con una media nazionale di partecipazione al voto del 62,14%, contro il 67,42% delle precedenti amministrative; il dato non è omogeneo sul territorio nazionale, con il Nord Italia che registra un incremento dell’astensione del 10% ed il Sud che si ferma ad una media del 5% in meno; un segnale probabilmente imputabile ai rapporti maggiormente personali tra candidato ed elettore nel meridione d’Italia.

Sindaci uscenti, usciti e new entry; essere uscente, nell’epoca di un’ampia volatilità dell’elettorato, amplificata dalla sostanziale esistenza di tre poli catalizzatori di voti, non è più garanzia di conferma; ne è prova Torino, dove la Appendino raddoppia i suo voti, drenando evidentemente una grossa fetta di elettorato di centrodestra, che ha visto il suo candidato escluso dal ballottaggio, conseguendo così una vittoria tanto netta quanto inattesa;

per converso, i sindaci ‘usciti’, ossia defenestrati da manovre di ‘palazzo’ hanno una loro rivincita popolare (Cassano Jonio e Cosenza), con conferme plebiscitarie al primo turno; ulteriore segno di scollamento tra l’elettorato e certi giochi di potere che si consumano all’interno di segrete stanze, poco compresi e non condivisi; l’essere stati vittima di tali congiure di palazzo fa anzi acquisire un’aureola di martirio prontamente riscattata dalla risposta popolare;

il risultato in generale ha disegnato uno scenario in forte movimento: su 143 comuni oltre i 15.000 abitanti, oltre un terzo (50) cambiano schieramento alla guida della città (http://www.demos.it/a01280.php).

Le elaborazioni dell’Istituto Cattaneo su 18 dei 25 capoluoghi in cui si è votato, ridimensionano le evidenze mediatiche dei casi di Roma e Torino; il centro-destra nel suo complesso perde circa 7 punti percentuali rispetto al 2011, ma recupera parzialmente nel confronto con il 2013; il centro-sinistra nel suo complesso perde circa 9 punti percentuali rispetto al 2011, ma cresce leggermente in confronto al 2013; il Movimento 5 stelle cresce rispetto al 2011, anche in virtù del fatto che nelle scorse comunali non era presente in alcuni comuni del campione, mentre perde circa 4 punti percentuali rispetto politiche del 2013". (http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Amministrative-istituto-Cattaneo-Centrosinistra-Centrodestra-Cinque-stelle-97ec85ff-3878-4a71-83a7-cffb84687cac.html).

Ad analoghi risultati perviene l’Istituto Demos (http://www.demos.it/a01280.php).

Alla aggregazione stimata dall’Istituto Cattaneo, va peraltro osservato che oggi il centrodestra appare diviso e solo a Milano diventa competitivo, perché compatto su un candidato espressione della società civile e non proveniente da uno dei partiti della coalizione, spesso schierato per tentare di affermare la leadership successiva a Berlusconi.

Nel secondo turno, il Movimento 5 Stelle diventa una macchina da ballottaggio; il M5s era presente in 118 competizioni locali su 149, in quanto in 31 casi aveva deciso di non presentarsi, e riesce a raggiungere il ballottaggio soltanto in 20 comuni, cioè nel 17% dei casi (http://www.cattaneo.org/press_release/comunali-2016/); nel ballottaggio diviene la forza politica in grado di aggregare il maggior numero di consensi, con una notevole elasticità del voto; nei 20 casi in cui era presente al ballottaggio, il Movimento 5 stelle risulta vincitore in 19, con un incremento medio dei voti del 33%; all’estremo opposto appare il centrosinistra, il quale incrementa i propri voti nel ballottaggio soltanto del 18,2%, percentuale inferiore anche al centrodestra, che registra un 21,5% (http://www.cattaneo.org/press_release/comunali-2016/).

Questa capacità espansiva del Movimento 5 Stelle, in particolare verso l’elettorato di centrodestra, ne fa il punto di coagulo di un sentimento fondamentalmente di protesta, con marcati tratti di ribellismo, che da un lato lo avvantaggia nel momento elettorale, ma dall’altro lato può essere elemento di difficoltà nel successivo momento di governo, allorquando dalle petizioni di principio si deve scendere a patti con la realtà concreta, operando scelte nette che certamente non avranno platee di condivisione così ampia.

Un tratto squisitamente politico della tornata amministrativa è un dato interno ai due schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, ed in particolare al PD; con queste elezioni si è aperta la fase politica di successione a Berlusconi, con una competizione spesso dichiarata (vedi Roma), tra i gruppi più populisti e revanscisti (Lega e FdI) e quelli (o almeno di quel che resta dei) più moderati (Forza Italia e Partito della Libertà, movimenti civici); la partita è, stando al risultato, assolutamente aperta, con evidenti difficoltà della Lega a incrementare significativamente i suoi consensi, sia nelle singole realtà che nell’intero territorio nazionale, uscendo dal tradizionale recinto nordista; la performance dei FdI a Roma appare ascrivibile, oltre al candidato ed alla sua visibilità nazionale, ad una quota di elettorato tradizionalmente di destra, presente nella capitale;

i partiti moderati che tentano una strada parallela al PD non hanno miglior sorte, relegati a ruoli comprimari, ovvero mancando, come nel caso di ALA, di dare un apporto determinante nel risultato elettorale, con esiti del tutto opposti (Napoli e Cosenza);

nel PD, oltre alla sensibile riduzione delle amministrazioni governate, vi è anche una sottile linea di demarcazione tra candidati ‘renziani’ e non; per limitarci a quelli dei centri più grossi, a Milano Sala ha un buon risultato, a Napoli non si arriva neanche al ballottaggio, a Roma Giachetti ha difeso quel che poteva essere difeso, a Torino Fassino subisce un significativo sorpasso al secondo turno, a Bologna si vince di misura al secondo turno. 

Il processo di rinnovamento dichiarato come obiettivo principale da Renzi sembra sia rimasto a metà del guado, subendo l’effetto – negativo -  di essere forza di governo identificata come responsabile della generalizzata situazione di crisi economica e sociale (per le dimensioni delle amministrazioni perse dal centrosinistra e, globalmente, di quelle oggetto di cambio di governo, ancora http://www.cattaneo.org/press_release/comunali-2016/).

La c.d. Sinistra, in parte storica ed in parte arricchita (con poco visibili risultati) da fuoriusciti dal PD, non appare in grado di uscire dallo steccato della testimonianza.

La situazione in Calabria merita una considerazione a parte, essendo l’ultimo capitolo (ma soltanto perché più recente e non tanto perché possa supporsi che la serie negativa sia terminata) di una serie di sconfitte che ha portato il PD ad essere estromesso da governo di tutti i più grossi centri cittadini, sino a perdere Crotone e (nuovamente e malamente) Cosenza; uniche consolatorie eccezioni Cassano allo Jonio, dove Papasso ha avuto la sua rivincita contro i defenestratori, e Rossano, città nella quale è stata determinante l’apporto elettorale del gruppo Il coraggio di cambiare, fondato da Giuseppe Graziano, consigliere regionale eletto nelle file della Casa della Libertà.

La crisi del PD è evidente nel suo reiterato distacco dai consensi maggioritari dell’elettorato e bloccato nel suo interno da una segreteria regionale mai nominata e da congressi non tenuti a seguito della elezione nel consiglio regionale di tre suoi segretari provinciali.

È doveroso iniziare ad interrogarsi sulle concrete modalità del recupero del ruolo politico e propulsivo del partito, coltivando l’orgoglio di appartenenza ed individuando i metodi di effettiva partecipazione democratica degli iscritti e degli elettori; va avviata una ineludibile azione di progettualità politica, aperta alla società, sia come singoli che come associazione, rischiando in difetto di essere racchiusi in mere logiche di conservazione e/o gestione del potere.

In chiusura, ritorna alla mente un’esclamazione usata in lingua swahili, Kenya; quando l’autobus va fuori strada, i passeggeri scendono e allo scandire di “harambee” tutti spingono per rimetterlo in carreggiata. 

Sarebbe il caso di dire al Partito democratico nazionale e, ancor più, calabrese: democratiche e democratici, harambee !

Francesco Attanasio
Presidente Ass. Civica Cosenza VALORI e LAVORO
http://francescoattanasiocv.blogspot.it/