domenica 5 novembre 2017

Elezioni siciliane tra Renzi e Kerenskij




Quando si parla della rivoluzione russa, quasi tutti pensano che Lenin prese il potere dopo l’abdicazione dello zar; in realtà la storia fu completamente diversa e più complessa. Tra la rinuncia al trono dello zar Nicola II, avvenuta il 15 marzo 1917 e la presa del potere da parte dei bolscevichi, vi fu un governo provvisorio.

Aleksandr Fëdorovič Kerenskij (Александр Фёдорович Керенский, Simbirsk, 22 aprile 1881 – New York, 2 maggio 1970), politico russo, di idee socialiste, fu Primo Ministro della Russia dopo la caduta dell'ultimo zar e immediatamente prima che i bolscevichi andassero al potere.

Avvocato di professione, svolse un ruolo di primo piano nel rovesciamento del regime zarista in Russia durante la rivoluzione del febbraio del 1917. A capo del governo provvisorio fu in grado di sventare il colpo di stato reazionario di Kornilov, ma non riuscì a evitare la rivoluzione di ottobre in cui i bolscevichi presero il potere. Morì in esilio negli Stati Uniti nel 1970.

Allo scoppio della rivoluzione di febbraio, Kerensky era uno dei suoi leader più in vista; venne eletto vice-rettore del Soviet di Pietrogrado. Durante le prime fasi della rivoluzione, era estremamente popolare presso le masse, guidò le truppe insorte alla Duma per cercare di coinvolgere questa alla rivolta; ordinò l'arresto di ministri del governo zarista a nome del Parlamento e adibì alcune sale del Palazzo di Tauride come sede del nuovo Soviet di Pietrogrado.

Il 12 marzo 1917  entrò a far parte del Comitato Provvisorio della Duma come membro del Partito Socialista Rivoluzionario, giungendo ricoprire la carica di vice-rettore del Soviet di Pietrogrado. Quando il Governo provvisorio venne formato, dopo la crisi di aprile che aveva causato le dimissioni di Pavel Miljukov come ministro degli Esteri del governo borghese e la formazione del primo gabinetto di coalizione borghese-socialista, Kerenskij fu nominato ministro  della giustizia, e in maggio divenne ministro della guerra. Uno dei pochi dirigenti socialisti in grado di gestire gli affari del governo al più alto livello in quel momento, era convinto della necessità di collaborazione tra socialisti e liberali ai fini della rivoluzione. Cercò di diventare una sorta di figura super partes, mantenendo una posizione intermedia tra i partiti socialisti e la borghesia. Per questo venne spesso accusato di bonapartismo dagli avversari. Le sue azioni come ministro, spesso prese senza coordinamento con il Soviet di Pietrogrado, a volte, erano poco più che effetti drammatici. I capi menscevichi, che controllavano la maggioranza del Soviet, in pratica, non si fidavano affatto di Kerenskij. Grande oratore in grado di attrarre numerosi seguaci, era convinto che una volta a capo del governo, liberali e socialisti si sarebbero riconciliati riconoscendo in lui il "leader necessario" per liberare il paese dai suoi problemi. 

A seguito del fallito colpo di Stato del generale Lavr Kornilov in agosto e delle dimissioni dei ministri, si nominò comandante in capo e proclamò la Repubblica Russa (14 settembre 1917). Inizialmente, Kerenskij aveva cercato di accordarsi con Kornilov, al fine di stendere un piano di riforma comune anti-bolscevica che avrebbe incluso la proclamazione di una dittatura militare. Solo quando si rese conto che un piano del genere avrebbe potuto influire sulla sua posizione di potere, decise di schierarsi dalla parte dei rivoluzionari.

Quindi, durante il tentativo di golpe di destra, Kerenskij si schierò, insieme ai bolscevichi, con la classe operaia di Pietrogrado. Più tardi nel mese di ottobre, la maggior parte di questi lavoratori sarebbe confluita proprio tra le file dei bolscevichi. Lenin era determinato a rovesciare il governo Kerenskij prima che avesse la possibilità di legittimarsi dopo le elezioni previste dall'Assemblea Costituente, e i bolscevichi presero il potere in quella che divenne nota come la seconda rivoluzione o Rivoluzione di ottobre.

Nell'emergenza della situazione, Kerenskij annunciò la formazione di un nuovo governo di coalizione social-borghese con alcuni socialisti di spicco. Impotente nel fermare la disgregazione delle forze armate e l'entità delle rivolte sul campo, fu costretto ad osservare i chiari preparativi dei bolscevichi per la presa del potere senza essere in grado di impedirlo. Un ultimo disperato tentativo di neutralizzare Lenin e compagni fallì e durante la rivoluzione d'ottobre Kerenskij dovette forzatamente lasciare la capitale la notte del 6 novembre 1917. 

Quando i bolscevichi presero il potere il 25 ottobre 1917, fuggì a Pskov  e tentò di rovesciare il nuovo governo ad egemonia bolscevica; fallito il tentativo lasciò il suo paese per la Francia (https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_F%C3%ABdorovi%C4%8D_Kerenskij).

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In queste ore si sta votando in Sicilia e ad Ostia, per il rinnovo dell’Assemblea regionale e del Municipio; due elezioni che rappresentano un test preliminare per le imminenti elezioni politiche, in misura diversa per tutti gli attori politici della scena nazionale.

In particolare per il PD, senza voler assumere la prova elettorale quale meccanico e scontato prologo delle future consultazioni, la prova appare significativa, sotto molteplici punti di vista.

È la prima consultazione di una certa rilevanza dopo la scissione e la continua emorragia di iscritti, quadri e personaggi di rilievo, buoni ultimi Grasso e Bassolino, utile per iniziare a capire quanto possono incidere tali abbandoni in termini concretamente elettorali, considerando anche l’appeal del candidato Fava.

Al netto della specifica situazione siciliana, in cui nelle scorse elezioni, che videro vincenti Crocetta, il PD ha raccolto il 13,50 % dei consensi, con un’affluenza significativamente bassa ed il centrodestra diviso, la consultazione assume anche un rilievo psicologico relativamente alla tenuta del consenso (http://www.lastampa.it/2017/11/04/italia/politica/il-pd-e-lincubo-per-cento-pronta-la-gara-a-quattro-per-lalternativa-a-renzi-VyZkw9wfzFQM3Ek3KCakEP/pagina.html).

L’apertura fatta da Renzi in queste ore, dichiarando la sua disponibilità formale ad un passo indietro per una coalizione larga (http://www.corriere.it/politica/elezioni-regionali-sicilia-2017/notizie/renzi-una-coalizione-larga-pronto-passo-indietro-884d39ca-c1fd-11e7-bf97-8f2129f2dc8b.shtml?refresh_ce-cp), appare piuttosto un tentativo di prevenire manovre finalizzate, non tanto ad una improbabile e lacerante sostituzione del segretario, legittimato da un robusto consenso ottenuto nelle primarie, quanto ad un suo ridimensionamento, attraverso sostanziali mutamenti di metodo ed obiettivi politici.

Viene il dubbio che Renzi possa essere trasformato nel Kerenskij del PD, senza peraltro che nell’orizzonte politico italiano si intraveda ad oggi un leader della statura di Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin (Ленин).

Fra poche ore vedremo iniziare a dipanarsi la nuova scena politica italiana.

domenica 4 giugno 2017

Territori, sistemi elettorali e collegi




Il ribollente fervore della redazione di una nuova legge elettorale, nello spasmodico anelito di tornare a misurarsi con le urne per riceverne una sperata investitura popolare, non distoglie da tentativi, neanche tanto velati, di applicare la nota asserzione di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, messa in bocca a Tancredi Falconeri, nipote del Principe di Salina, Fabrizio Corbera, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, al fine di conservare  consolidate rendite di posizione.

La recente ipotizzata divisione tra Corigliano Calabro e Rossano, assegnati, in una prima stesura del riparto collegiale della legge elettorale in formazione, a due collegi senatoriali diversi, è significativa di una costante distrazione (o disegno preordinato ?) del legislatore nei confronti dei processi politici che si sviluppano nei territori; due comuni dello Jonio cosentino (i due più grossi per estensione e popolazione) che sono nel mezzo di un cammino di fusione, primo in Calabria per l’entità dei centri coinvolti, vengono spensieratamente (volutamente ?) assegnati a due collegi diversi, con relativa schizofrenica rappresentanza parlamentare.

Né migliore di tale politica di basso profilo di idee (ma ferratissima in tema di gestione di potere), appare la speranza di alcuni di pensare di poter lucrare sulla divisione di quel territorio, per godere di un fantomatico rafforzamento del proprio; è ben triste pensare di poter innestare processi virtuosi di sviluppi, non sulle proprie forze ed idee, ma godendo di presunte debolezze altrui.

D’altro canto, sembra che la sciagurata ipotesi abbia avuto la breve vita de l’espace d’un matin, come noterebbe François de Malherbe, essendosi ripartita la provincia di Cosenza, con successivo emendamento, nei due collegi di Cosenza - Rende - Castrovillari - Paola, da un lato, e Rossano – Corigliano Calabro - Crotone, dall’altro lato.

Non può, però, non rilevarsi, anche in questa nuova (ipotetica) partizione, una logica destinata a centrare il punto focale del collegio nei territori più forti economicamente e demograficamente, asservendo allo stesso periferie reputate marginali.

Il territorio del Pollino e della Sibaritide  sembra subire, in un incomprensibile ed assordante silenzio, scelte da altri determinate, senza accennare ad una minima possibilità di entrare nel processo decisionale, al contrario di quanto è stato fatto dalle popolazioni dell’area Rossano – Corigliano Calabro, con una reazione ferma ed immediata a fronte del prospettato scempio territoriale.

La stessa area di Rossano e Corigliano Calabro, se pur apparentemente vittoriosa nella ritrovata unità (almeno a livello di emendamento), assume, peraltro, nella nuova geografia parlamentare, un ruolo di completamento rispetto alla intera provincia di Crotone, a cui è annessa, con un collegio composto da differenti unità provinciali.

Invece di pensare di lucrare su possibili debolezze altrui (peraltro solo ipotizzate e prontamente rintuzzate dalla reazione delle popolazioni interessate), l’area Pollino – Sibaritide dovrebbe interrogarsi funditus sul proprio destino di territorio marginale e frazionato, a servizio delle truppe di lanzichenecchi che decidano di percorrerle per i loro esclusivi interessi, ed iniziare una profonda ed aperta riflessione sul senso di stare insieme, per la costruzione di un futuro comune.

Parimenti, l’area Rossano – Corigliano Calabro dovrebbe riflettere sulla circostanza che non è solo opportuno restare insieme, ma è necessario costruire le proprie prospettive in un quadro di omogeneità amministrativa, evitando di essere meri satelliti di altri.

giovedì 1 giugno 2017

L'amarezza di un abbandono



Caro Francesco,

uso i social, al pari della Tua scelta (http://www.cvinrete.it/index.php/component/k2/item/3497-con-una-lettera-aperta-francesco-crescente-lascia-il-partito-democratico), per dirTi che leggere del Tuo abbandono del PD mi ha provocato un profondo rammarico ed una infinita ed insopportabile amarezza;

un profondo rammarico, per la perdita di un democratico impegnato ed appassionato, compagno di tante battaglie condotte insieme, anche se nel tempo via via diradate quanto alla scelta delle medesime appartenenze; sono convinto che ogni uscita da un partito politico sia in primo luogo una sconfitta per il partito stesso;

una infinita ed insopportabile amarezza per la spettacolare modalità scelta e, ancor più, per le motivazioni addotte.

Tu stesso annoti che “… in tanti, in questi anni, silenziosamente hanno abbandonato il partito, altri lo faranno …”; aggiungo io in modo (certo doloroso per entrambe le parti ma) condivisibilmente dignitoso, senza fare ricorso a cangianti platee social – mediatiche nella rincorsa narcisistica di un evanescente apparire, sia pure soltanto per un fuggevole e labile attimo, apparire che lascia sempre più in ombra una ben più concreta sostanza di doti personali, anche a costo di calpestare valori di coerenza e, appunto, dignità e rispetto verso se stessi e verso gli ex  compagni ed amici di partito;

non condivido affatto una tale superfetazione mediatica di un’istanza, che ben avrebbe potuto (e dovuto) essere svolta nelle confacenti sedi di partito, con una comunicazione al segretario del circolo o, ancora più coerentemente, con un annuncio recato personalmente in una delle tante riunione di direttivo tenute in sede.

Ancor più infinita e sofferente amarezza provo per le motivazioni addotte, le quali sono raffazzonate alla bell’e meglio in una insopportabile ed indigesta macedonia in salsa pseudogrillina;

la arida, infeconda e confusa elencazione degli addebiti che muovi (alcuni dei quali peraltro meritevoli di approfondimento, ma, ritengo personalmente, all’interno del partito) appare piuttosto un anarcoide caleidoscopio di argomenti di bassa demagogia, conditi da una profonda vena nostalgica di un passato che non tornerà, in quanto consegnato (anche da noi stessi) alla storia;

alla fitta e ricercata enumerazione manca soltanto che si addebiti al PD l’elezione di Papa Francesco, i terremoti de L’Aquila e di Amatrice ed Accumoli, la sconfitta di Hillary Clinton e la vittoria del sesto scudetto della Juventus per assurgere ad una fantasmagorica panoplia di elementi, che ambisca ad una totalità pantocratica dei destini dell’intero universo.

Il punto, in realtà, è ben altro; il Partito Democratico è un partito nuovo, nato recentemente (per i tempi della politica) dall’unione di diverse, se pur analoghe e contigue, culture politiche, eppure è un partito di massa, strutturato ed organizzato, capillarmente presente sul territorio, vivo (aggiungerei, faticosamente e dolorosamente vivo), tanto da essere oggi l’unico esempio di tale modalità di soggettività politica nel panorama italiano, con corrispondente riconoscimento elettorale che lo porta ad essere il primo (o il secondo, secondo le umorali variazioni dei sondaggi) partito.

Un partito di siffatte caratteristiche e dimensioni elettorali non può sottrarsi alla responsabilità di governo di una nazione e di uno stato che sono tra i fondatori della Comunità europea e tra gli storici partecipanti dei vari G7 e via crescendo, oltre alla partecipazione determinante alle Nazioni unite ed al mondo /civiltà occidentale nel suo complesso.

E governare significa fare scelte, che possono anche essere non condivise o non al meglio delle possibilità, ma che certamente non possono essere stigmatizzate di mera conservazione o bieca gestione di potere; le scelte fatte dal PD negli ultimi anni si leggono attraverso una coerente filigrana di tentativo di modernizzare il paese, scrostandolo dalle secolari paralisi che ne hanno impedito il pieno sviluppo sociale, politico ed economico;

senza l’esperienza di Renzi, oggi certamente saremmo tutti rappresi in dibattiti ombelicali relativi a governi balneari (o magari già spiaggiati), rigorosamente strutturati all’ombra mefitica del manuale Cencelli, e tutti programmaticamente tesi verso tranquillizzanti e narcolettici obiettivi pret a porter, lontani da una reale ed incisiva innovazione e modernizzazione della società italiana, tanto quanto lo è Alpha ursae minoris da Canopo;
senza l’esperienza di Renzi, il dibattito politico (già oggi abbastanza avvitato su se stesso ed asfittico nella prospettiva della costruzione di progetto di futuro) sarebbe una sorta di patologico onfalocele del panorama italiano.

E tutto questo è possibile realizzare soltanto se si ben chiaro il senso e l’orgoglio della appartenenza alla comunità partito, all’interno del quale la maggioranza assume responsabilmente le proprie scelte, attraverso un confronto ampio, serrato e non prevaricatorio, e la minoranza incalza criticamente e dialetticamente, proponendo la propria visione differenziale, senza disseminare il cammino di strumentali trappole parlamentari.

Certo, non tutto è stato rose e fiori, non tutto è pienamente condivisibile, e di tanto ne sia testimonianza il mio sostegno dato ad Orlando nelle ultime primarie per la designazione del segretario del partito, sia nella fase riservata ai soli iscritti, sia in quella aperta agli elettori e simpatizzanti.

Restano granitici problemi come la costante perdita di consenso o la composizione sempre più anziana del nostro elettorato, oltre la marea montante della strumentale demagogia che si nutre a piene mani dell’antipolitica, per restare nell’ambito del partito e tralasciare i drammatici dilemmi e le angosciose difficoltà che attanagliano la società italiana.

Ma tutto questo, a mio personale giudizio, non legittima l’abbondono della nave sulla quale si è navigato sino ad un minuto prima e, soprattutto, non legittima una costruzione argomentativa, finalizzata a tentare di giustificare l’abbandono, tutta racchiusa in un’ottica demolitiva ed ipercritica, sino a sfiorare la più surrettizia delle denigrazioni.

Costruzione argomentativa che rievoca sullo sfondo una profonda nostalgia per una comoda posizione di testimonianza ipercritica, lontana dalle necessarie scelte dovute ad una concreta azione di governo, che voglia innovare e non soltanto galleggiare sull’esistente conservativo del potere gestionale.

Ti auguro, come Tu dici, di continuare ad esercitare l’attività politica, che, come ebbe ad affermare Paolo VI, è la “più alta forma di carità”, ponendo le proprie modeste capacità personali al servizio della collettività; a me auguro di poterTi nuovamente incontrare, uniti fianco a fianco per raggiungere mete comuni.

Mi fermo qui, non senza appropriarmi di una delle sfolgoranti battute dell’ineffabile Jep Gambardella, fascinoso e raffinato protagonista de La grande bellezza:  "la più consistente scoperta che ho fatto, pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare ..."; personalmente preferisco coltivare “… gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza …”.

martedì 30 maggio 2017

Per una ecosostenibilità del confronto politico



Ritorna, con la ricorrenza e la irruenza di un fiume carsico, al centro del confronto politico castrovillarese, la questione dell’insediamento di una nuova piattaforma di trattamento di rifiuti nell’area ASI di Cammarata.

Già dal 2010, anno della presentazione del primo progetto (diverso da quello attuale), con fasi altalenanti, i partiti, i movimenti e le istituzioni sono stati attori di un dibattito che è complesso per la materia e rovente per gli interessi coinvolti, toccando i tre aspetti che dovrebbero essere all’apice delle priorità di ogni soggetto politico : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il lavoro, oggi consapevolmente connessi.

Appare utile tentare un approccio alla questione non ideologico e rigidamente polarizzato, quanto piuttosto basato su dati di fatto e sulla complessità del caso.

L’odierno progetto prevede il trattamento a fini di recupero e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, secondo gli allegati B e C (parte quarta) del D. Lgs. 03/04/2006 n. 152 (cd TUA Testo unico ambiente) (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2006_0152_allegati.htm#P_4)

Le tre linee in cui è articolato l’impianto consentono le seguenti capacità produttive annue:

impianto di digestione anaerobica / aerobica – 25.550 t/anno

impianto di biostabilizzazione – 25.550 t/anno

impianto di trattamento chimico fisico di rifiuti liquidi 49.500 t/anno

per una capacità massima complessiva di trattamento per 100.600 t/anno

Le prime due linee provvedono al trattamento della frazione organica del rifiuto con la produzione di compost di qualità, usato come ammendante, e compost c.d. grigio, usato come prodotto di copertura nelle discariche.

La terza linea tratta rifiuti liquidi speciali non pericolosi. (dati tratti dalle relazioni progettuali)

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La prima questione agitata è la opportunità della coesistenza tra questa tipologia di impianto ed il circostante territorio, vocato a distretto agroalimentare di qualità.

Sotto il profilo strettamente formale, l’insediamento è consentito in quanto il sito è ricompreso nell’area ASI, dedicata alla sviluppo industriale, contigua all’area del distretto agroalimentare.

Il punto della discussione, in realtà, si sposta sulla opportunità della coesistenza delle due aree (ASI e DAQ); prescindendo da ricostruzioni storiche, che vedrebbero il distretto ASI risalente rispetto al DAQ, è opportuno superare una ideologica e pregiudiziale contrapposizione tra le due differenti aree.

Mette conto di sottolineare, per la risalenza della questione al 2010, per il caso specifico dell’impianto in parola, ma precedente per una valutazione complessiva di programmazione economica, come ad oggi non vi è ancora una scelta coerente e chiara (e condivisa) sul tipo di sviluppo economico dell’intera area; basti qui ricordare soltanto come la detta area ASI negli anni ’80 dello scorso secolo è stata oggetto di insediamento manifatturiero tessile di una certa rilevanza, poi entrato in crisi fino alla chiusura definitiva degli stabilimenti.

Uno dei vizi dell’odierna contrapposizione è il guardare la questione attraverso il punto di vista del singolo impianto, senza una visione di insieme.

Va superata preliminarmente la presunta dicotomia agricoltura / industria, atteso che le tipologie esistenti in entrambi gli ‘schieramenti’ sono diversissime tra loro e spesso possono essere complementari in modo trasversale.

Per intenderci, un allevamento di bestiame, pur essendo attività tipicamente agricola, è anche altamente impattante per l’ambiente; se si vuole sintetizzare con una immagine fortemente icastica si può affermare che un hamburger a pranzo equivale a 6 mq di foresta in meno (http://www.oipa.org/italia/focus-impronta/).

Parimenti le attività di coltivazione intensiva di piante da frutto sono a rilevante influenza negativa sull’ambiente (per le mele in Alto Adige vedi http://www.ruralpini.it/file/Attualit%C3%A0-home/MELE%20INSOSTENIBILI.pdf).

Per converso, vi sono attività industriali a basso impatto ambientale (per un esempio, case di elaborazione di software ovvero attività manifatturiere secondo criteri di ecocompatibilità, vedi http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/documenti-tecnici/Scenari_impatto_ambientale.pdf).

Nello specifico delle aree ASI va considerata anche una linea di tendenza alla riconversione delle stesse con insediamenti funzionali alle attività economiche a vocazione agricola esistenti nel tessuto produttivo circostante (per un esempio La strategia di specializzazione intelligente in Piemonte http://www.regione.piemonte.it/partenariato1420/dwd/S3piemonte.pdf).

Fatte queste rapidissime e sintetiche considerazioni di carattere generale per ricordare la complessità della questione, appare sterilmente demagogico affrontare il problema in modo pervicacemente parcellizzato, focalizzando tutta l’attenzione sul singolo momento e sul singolo impianto.

La proposta di piattaforma, per come articolata, può essere di supporto, nei suoi limiti di impianto privato, proprio alle attività di tipo agricolo della zona, trattando rifiuti organici provenienti anche dalle coltivazioni agricole e rifiuti liquidi provenienti dal ciclo di depurazione degli scarti dei processi produttivi di trasformazione dei prodotti di allevamento.

La mera opposizione, senza alcuna indicazione di alternative, e soprattutto senza una visione di programmazione economica dell’area, avrebbe soltanto il sapore di una chiusura di tipo integralista, che ignora volutamente la realtà circostante, laddove proprio le attività agricole (anche di qualità) della zona richiedono processi ed impianti di trattamento dei rifiuti prodotti (solidi e liquidi); processi ed impianti che, per la sopra ricordata delicatezza degli interessi in gioco, appare preferibile concentrare in impianti professionali controllabili, piuttosto che lasciarli in mano ad un ‘fai da te’ dei singoli produttori, in gran parte sottratto agli stringenti controlli disposti in tema ambientale, sotto l’usbergo di attività connesse all’agricoltura.

È ben vero che, come sopra ricordato, che l’impianto ha natura privata e, quindi, come tale vocato al profitto e non vincolato ad una strumentale visione di servizio dell’area, ma tale situazione è frutto, innanzitutto, della partizione di competenze tra il settore pubblico, che ha in carico soltanto lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e non di quelli speciali (che si suddistinguono in speciali pericolosi e non pericolosi, ad evitare allarmismi demagogici – per una scheda di sintesi http://www.minambiente.it/pagina/la-classificazione-dei-rifiuti); lo smaltimento dei rifiuti speciali è, infatti, demandato all’attività privata del settore, sottoposta alle autorizzazioni e ai controlli normativamente disposti, restando al settore pubblico, afflitto peraltro da una persistente carenza dell’impiantistica, il compito di provvedere al trattamento dei rifiuti solidi urbani.

In sintesi, sotto il profilo normativo formale, non v’è motivo (salve le autorizzazioni dovute) che osti alla realizzazione della piattaforma in parola; sotto il profilo della opportunità appare strumentale ed errato opporsi al singolo impianto, trascurando una visione di insieme, che sola può coniugare i tre interessi in gioco e summenzionati : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il lavoro, oggi consapevolmente connessi.

La politica deve assumere su di sé la responsabilità di una scelta prospettica e di ampio respiro; diversamente, ove cedesse a infeconde contrapposizioni (a prescindere, direbbe il grande Totò), tradirebbe se stessa.

In quest’ultima prospettiva, ritengo utile richiamare una rivoluzione culturale inaugurata in Finlandia, nella istituzione scolastica, con l’abbandono delle singole materie di insegnamento, in favore della studio dei ‘fenomeni’, con acquisizione ragionata di competenze trasversali e globalizzanti (http://www.repubblica.it/esteri/2017/05/30/news/finlandia_nasce_la_scuola_senza_materie_la_rivoluzione_dei_piu_bravi_del_mondo-166760382/). La necessità di ‘allenare’ i discenti ad una visione di insieme è necessaria per dare agli stessi una valida bussola per muoversi in realtà sempre più complessa e in continuo movimento.

Secondo Kirsti Lonka, docente di Psicologia educativa all'università di Helsinki, il metodo dell'apprendimento "basato sui fenomeni" deve fornire agli studenti capacità adeguate per il ventunesimo secolo. Fra queste, sottolinea la docente, ci sono quelle che servono per respingere il cyber-bullismo come quelle che permettono di individuare su internet le notizie false, così come l'abilità di installare un programma anti-virus come quella di collegare al computer una stampante. 

Quello che, se vogliamo, continua a mancare al confronto politico.

In definitiva, è un po’ la storiella del saggio che indica la luna e dello stolto che si limita a guardare il dito.

Un’ultima notazione; il titolo è mutuato da un post di Dino Amenduni : https://www.proformaweb.it/blog/cosa-fare-per-contribuire-allecologia-del-dibattito-pubblico-slide/. Da leggere.