martedì 30 maggio 2017

Per una ecosostenibilità del confronto politico



Ritorna, con la ricorrenza e la irruenza di un fiume carsico, al centro del confronto politico castrovillarese, la questione dell’insediamento di una nuova piattaforma di trattamento di rifiuti nell’area ASI di Cammarata.

Già dal 2010, anno della presentazione del primo progetto (diverso da quello attuale), con fasi altalenanti, i partiti, i movimenti e le istituzioni sono stati attori di un dibattito che è complesso per la materia e rovente per gli interessi coinvolti, toccando i tre aspetti che dovrebbero essere all’apice delle priorità di ogni soggetto politico : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il lavoro, oggi consapevolmente connessi.

Appare utile tentare un approccio alla questione non ideologico e rigidamente polarizzato, quanto piuttosto basato su dati di fatto e sulla complessità del caso.

L’odierno progetto prevede il trattamento a fini di recupero e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, secondo gli allegati B e C (parte quarta) del D. Lgs. 03/04/2006 n. 152 (cd TUA Testo unico ambiente) (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2006_0152_allegati.htm#P_4)

Le tre linee in cui è articolato l’impianto consentono le seguenti capacità produttive annue:

impianto di digestione anaerobica / aerobica – 25.550 t/anno

impianto di biostabilizzazione – 25.550 t/anno

impianto di trattamento chimico fisico di rifiuti liquidi 49.500 t/anno

per una capacità massima complessiva di trattamento per 100.600 t/anno

Le prime due linee provvedono al trattamento della frazione organica del rifiuto con la produzione di compost di qualità, usato come ammendante, e compost c.d. grigio, usato come prodotto di copertura nelle discariche.

La terza linea tratta rifiuti liquidi speciali non pericolosi. (dati tratti dalle relazioni progettuali)

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La prima questione agitata è la opportunità della coesistenza tra questa tipologia di impianto ed il circostante territorio, vocato a distretto agroalimentare di qualità.

Sotto il profilo strettamente formale, l’insediamento è consentito in quanto il sito è ricompreso nell’area ASI, dedicata alla sviluppo industriale, contigua all’area del distretto agroalimentare.

Il punto della discussione, in realtà, si sposta sulla opportunità della coesistenza delle due aree (ASI e DAQ); prescindendo da ricostruzioni storiche, che vedrebbero il distretto ASI risalente rispetto al DAQ, è opportuno superare una ideologica e pregiudiziale contrapposizione tra le due differenti aree.

Mette conto di sottolineare, per la risalenza della questione al 2010, per il caso specifico dell’impianto in parola, ma precedente per una valutazione complessiva di programmazione economica, come ad oggi non vi è ancora una scelta coerente e chiara (e condivisa) sul tipo di sviluppo economico dell’intera area; basti qui ricordare soltanto come la detta area ASI negli anni ’80 dello scorso secolo è stata oggetto di insediamento manifatturiero tessile di una certa rilevanza, poi entrato in crisi fino alla chiusura definitiva degli stabilimenti.

Uno dei vizi dell’odierna contrapposizione è il guardare la questione attraverso il punto di vista del singolo impianto, senza una visione di insieme.

Va superata preliminarmente la presunta dicotomia agricoltura / industria, atteso che le tipologie esistenti in entrambi gli ‘schieramenti’ sono diversissime tra loro e spesso possono essere complementari in modo trasversale.

Per intenderci, un allevamento di bestiame, pur essendo attività tipicamente agricola, è anche altamente impattante per l’ambiente; se si vuole sintetizzare con una immagine fortemente icastica si può affermare che un hamburger a pranzo equivale a 6 mq di foresta in meno (http://www.oipa.org/italia/focus-impronta/).

Parimenti le attività di coltivazione intensiva di piante da frutto sono a rilevante influenza negativa sull’ambiente (per le mele in Alto Adige vedi http://www.ruralpini.it/file/Attualit%C3%A0-home/MELE%20INSOSTENIBILI.pdf).

Per converso, vi sono attività industriali a basso impatto ambientale (per un esempio, case di elaborazione di software ovvero attività manifatturiere secondo criteri di ecocompatibilità, vedi http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/documenti-tecnici/Scenari_impatto_ambientale.pdf).

Nello specifico delle aree ASI va considerata anche una linea di tendenza alla riconversione delle stesse con insediamenti funzionali alle attività economiche a vocazione agricola esistenti nel tessuto produttivo circostante (per un esempio La strategia di specializzazione intelligente in Piemonte http://www.regione.piemonte.it/partenariato1420/dwd/S3piemonte.pdf).

Fatte queste rapidissime e sintetiche considerazioni di carattere generale per ricordare la complessità della questione, appare sterilmente demagogico affrontare il problema in modo pervicacemente parcellizzato, focalizzando tutta l’attenzione sul singolo momento e sul singolo impianto.

La proposta di piattaforma, per come articolata, può essere di supporto, nei suoi limiti di impianto privato, proprio alle attività di tipo agricolo della zona, trattando rifiuti organici provenienti anche dalle coltivazioni agricole e rifiuti liquidi provenienti dal ciclo di depurazione degli scarti dei processi produttivi di trasformazione dei prodotti di allevamento.

La mera opposizione, senza alcuna indicazione di alternative, e soprattutto senza una visione di programmazione economica dell’area, avrebbe soltanto il sapore di una chiusura di tipo integralista, che ignora volutamente la realtà circostante, laddove proprio le attività agricole (anche di qualità) della zona richiedono processi ed impianti di trattamento dei rifiuti prodotti (solidi e liquidi); processi ed impianti che, per la sopra ricordata delicatezza degli interessi in gioco, appare preferibile concentrare in impianti professionali controllabili, piuttosto che lasciarli in mano ad un ‘fai da te’ dei singoli produttori, in gran parte sottratto agli stringenti controlli disposti in tema ambientale, sotto l’usbergo di attività connesse all’agricoltura.

È ben vero che, come sopra ricordato, che l’impianto ha natura privata e, quindi, come tale vocato al profitto e non vincolato ad una strumentale visione di servizio dell’area, ma tale situazione è frutto, innanzitutto, della partizione di competenze tra il settore pubblico, che ha in carico soltanto lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e non di quelli speciali (che si suddistinguono in speciali pericolosi e non pericolosi, ad evitare allarmismi demagogici – per una scheda di sintesi http://www.minambiente.it/pagina/la-classificazione-dei-rifiuti); lo smaltimento dei rifiuti speciali è, infatti, demandato all’attività privata del settore, sottoposta alle autorizzazioni e ai controlli normativamente disposti, restando al settore pubblico, afflitto peraltro da una persistente carenza dell’impiantistica, il compito di provvedere al trattamento dei rifiuti solidi urbani.

In sintesi, sotto il profilo normativo formale, non v’è motivo (salve le autorizzazioni dovute) che osti alla realizzazione della piattaforma in parola; sotto il profilo della opportunità appare strumentale ed errato opporsi al singolo impianto, trascurando una visione di insieme, che sola può coniugare i tre interessi in gioco e summenzionati : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il lavoro, oggi consapevolmente connessi.

La politica deve assumere su di sé la responsabilità di una scelta prospettica e di ampio respiro; diversamente, ove cedesse a infeconde contrapposizioni (a prescindere, direbbe il grande Totò), tradirebbe se stessa.

In quest’ultima prospettiva, ritengo utile richiamare una rivoluzione culturale inaugurata in Finlandia, nella istituzione scolastica, con l’abbandono delle singole materie di insegnamento, in favore della studio dei ‘fenomeni’, con acquisizione ragionata di competenze trasversali e globalizzanti (http://www.repubblica.it/esteri/2017/05/30/news/finlandia_nasce_la_scuola_senza_materie_la_rivoluzione_dei_piu_bravi_del_mondo-166760382/). La necessità di ‘allenare’ i discenti ad una visione di insieme è necessaria per dare agli stessi una valida bussola per muoversi in realtà sempre più complessa e in continuo movimento.

Secondo Kirsti Lonka, docente di Psicologia educativa all'università di Helsinki, il metodo dell'apprendimento "basato sui fenomeni" deve fornire agli studenti capacità adeguate per il ventunesimo secolo. Fra queste, sottolinea la docente, ci sono quelle che servono per respingere il cyber-bullismo come quelle che permettono di individuare su internet le notizie false, così come l'abilità di installare un programma anti-virus come quella di collegare al computer una stampante. 

Quello che, se vogliamo, continua a mancare al confronto politico.

In definitiva, è un po’ la storiella del saggio che indica la luna e dello stolto che si limita a guardare il dito.

Un’ultima notazione; il titolo è mutuato da un post di Dino Amenduni : https://www.proformaweb.it/blog/cosa-fare-per-contribuire-allecologia-del-dibattito-pubblico-slide/. Da leggere.