Ritorna, con la ricorrenza e
la irruenza di un fiume carsico, al centro del confronto politico
castrovillarese, la questione dell’insediamento di una nuova piattaforma di
trattamento di rifiuti nell’area ASI di Cammarata.
Già dal 2010, anno della
presentazione del primo progetto (diverso da quello attuale), con fasi
altalenanti, i partiti, i movimenti e le istituzioni sono stati attori di un
dibattito che è complesso per la materia e rovente per gli interessi coinvolti,
toccando i tre aspetti che dovrebbero essere all’apice delle priorità di ogni
soggetto politico : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il
lavoro, oggi consapevolmente connessi.
Appare utile tentare un
approccio alla questione non ideologico e rigidamente polarizzato, quanto
piuttosto basato su dati di fatto e sulla complessità del caso.
L’odierno progetto prevede il
trattamento a fini di recupero e smaltimento di rifiuti speciali non
pericolosi, secondo gli allegati B e C (parte quarta) del D. Lgs. 03/04/2006 n.
152 (cd TUA Testo unico ambiente) (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2006_0152_allegati.htm#P_4)
Le tre linee in cui è
articolato l’impianto consentono le seguenti capacità produttive annue:
impianto di digestione
anaerobica / aerobica – 25.550 t/anno
impianto di biostabilizzazione
– 25.550 t/anno
impianto di trattamento
chimico fisico di rifiuti liquidi 49.500 t/anno
per una capacità massima
complessiva di trattamento per 100.600 t/anno
Le prime due linee provvedono
al trattamento della frazione organica del rifiuto con la produzione di compost
di qualità, usato come ammendante, e compost c.d. grigio, usato come prodotto
di copertura nelle discariche.
La terza linea tratta rifiuti
liquidi speciali non pericolosi. (dati tratti dalle relazioni progettuali)
*****
La prima questione agitata è
la opportunità della coesistenza tra questa tipologia di impianto ed il
circostante territorio, vocato a distretto agroalimentare di qualità.
Sotto il profilo strettamente
formale, l’insediamento è consentito in quanto il sito è ricompreso nell’area
ASI, dedicata alla sviluppo industriale, contigua all’area del distretto
agroalimentare.
Il punto della discussione, in
realtà, si sposta sulla opportunità della coesistenza delle due aree (ASI e
DAQ); prescindendo da ricostruzioni storiche, che vedrebbero il distretto ASI
risalente rispetto al DAQ, è opportuno superare una ideologica e pregiudiziale
contrapposizione tra le due differenti aree.
Mette conto di sottolineare,
per la risalenza della questione al 2010, per il caso specifico dell’impianto
in parola, ma precedente per una valutazione complessiva di programmazione
economica, come ad oggi non vi è ancora una scelta coerente e chiara (e
condivisa) sul tipo di sviluppo economico dell’intera area; basti qui ricordare
soltanto come la detta area ASI negli anni ’80 dello scorso secolo è stata
oggetto di insediamento manifatturiero tessile di una certa rilevanza, poi entrato
in crisi fino alla chiusura definitiva degli stabilimenti.
Uno dei vizi dell’odierna
contrapposizione è il guardare la questione attraverso il punto di vista del
singolo impianto, senza una visione di insieme.
Va superata preliminarmente la
presunta dicotomia agricoltura / industria, atteso che le tipologie esistenti
in entrambi gli ‘schieramenti’ sono diversissime tra loro e spesso possono
essere complementari in modo trasversale.
Per intenderci, un allevamento
di bestiame, pur essendo attività tipicamente agricola, è anche altamente
impattante per l’ambiente; se si vuole sintetizzare con una immagine fortemente
icastica si può affermare che un hamburger a pranzo equivale a 6 mq di foresta
in meno (http://www.oipa.org/italia/focus-impronta/).
Parimenti le attività di
coltivazione intensiva di piante da frutto sono a rilevante influenza negativa
sull’ambiente (per le mele in Alto Adige vedi http://www.ruralpini.it/file/Attualit%C3%A0-home/MELE%20INSOSTENIBILI.pdf).
Per converso, vi sono attività
industriali a basso impatto ambientale (per un esempio, case di elaborazione di
software ovvero attività manifatturiere secondo criteri di ecocompatibilità,
vedi http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/documenti-tecnici/Scenari_impatto_ambientale.pdf).
Nello specifico delle aree ASI
va considerata anche una linea di tendenza alla riconversione delle stesse con
insediamenti funzionali alle attività economiche a vocazione agricola esistenti
nel tessuto produttivo circostante (per un esempio La strategia di
specializzazione intelligente in Piemonte http://www.regione.piemonte.it/partenariato1420/dwd/S3piemonte.pdf).
Fatte queste rapidissime e
sintetiche considerazioni di carattere generale per ricordare la complessità
della questione, appare sterilmente demagogico affrontare il problema in modo
pervicacemente parcellizzato, focalizzando tutta l’attenzione sul singolo
momento e sul singolo impianto.
La proposta di piattaforma,
per come articolata, può essere di supporto, nei suoi limiti di impianto
privato, proprio alle attività di tipo agricolo della zona, trattando rifiuti
organici provenienti anche dalle coltivazioni agricole e rifiuti liquidi
provenienti dal ciclo di depurazione degli scarti dei processi produttivi di
trasformazione dei prodotti di allevamento.
La mera opposizione, senza alcuna
indicazione di alternative, e soprattutto senza una visione di programmazione
economica dell’area, avrebbe soltanto il sapore di una chiusura di tipo integralista,
che ignora volutamente la realtà circostante, laddove proprio le attività
agricole (anche di qualità) della zona richiedono processi ed impianti di
trattamento dei rifiuti prodotti (solidi e liquidi); processi ed impianti che,
per la sopra ricordata delicatezza degli interessi in gioco, appare preferibile
concentrare in impianti professionali controllabili, piuttosto che lasciarli in
mano ad un ‘fai da te’ dei singoli produttori, in gran parte sottratto agli
stringenti controlli disposti in tema ambientale, sotto l’usbergo di attività
connesse all’agricoltura.
È ben vero che, come sopra
ricordato, che l’impianto ha natura privata e, quindi, come tale vocato al
profitto e non vincolato ad una strumentale visione di servizio dell’area, ma
tale situazione è frutto, innanzitutto, della partizione di competenze tra il
settore pubblico, che ha in carico soltanto lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani e non di quelli speciali (che si suddistinguono in speciali pericolosi e
non pericolosi, ad evitare allarmismi demagogici – per una scheda di sintesi http://www.minambiente.it/pagina/la-classificazione-dei-rifiuti);
lo smaltimento dei rifiuti speciali è, infatti, demandato all’attività privata
del settore, sottoposta alle autorizzazioni e ai controlli normativamente
disposti, restando al settore pubblico, afflitto peraltro da una persistente
carenza dell’impiantistica, il compito di provvedere al trattamento dei rifiuti
solidi urbani.
In sintesi, sotto il profilo
normativo formale, non v’è motivo (salve le autorizzazioni dovute) che osti
alla realizzazione della piattaforma in parola; sotto il profilo della
opportunità appare strumentale ed errato opporsi al singolo impianto,
trascurando una visione di insieme, che sola può coniugare i tre interessi in
gioco e summenzionati : la salute dell’uomo, la salubrità dell’ambiente ed il
lavoro, oggi consapevolmente connessi.
La politica deve assumere su
di sé la responsabilità di una scelta prospettica e di ampio respiro;
diversamente, ove cedesse a infeconde contrapposizioni (a prescindere, direbbe
il grande Totò), tradirebbe se stessa.
In quest’ultima prospettiva,
ritengo utile richiamare una rivoluzione culturale inaugurata in Finlandia,
nella istituzione scolastica, con l’abbandono delle singole materie di
insegnamento, in favore della studio dei ‘fenomeni’, con acquisizione ragionata
di competenze trasversali e globalizzanti (http://www.repubblica.it/esteri/2017/05/30/news/finlandia_nasce_la_scuola_senza_materie_la_rivoluzione_dei_piu_bravi_del_mondo-166760382/).
La necessità di ‘allenare’ i discenti ad una visione di insieme è necessaria
per dare agli stessi una valida bussola per muoversi in realtà sempre più
complessa e in continuo movimento.
Secondo Kirsti Lonka, docente
di Psicologia educativa all'università di Helsinki, il metodo
dell'apprendimento "basato sui fenomeni" deve fornire agli studenti
capacità adeguate per il ventunesimo secolo. Fra queste, sottolinea la docente,
ci sono quelle che servono per respingere il cyber-bullismo come quelle che
permettono di individuare su internet le notizie false, così come l'abilità di
installare un programma anti-virus come quella di collegare al computer una
stampante.
Quello che, se vogliamo,
continua a mancare al confronto politico.
In definitiva, è un po’ la
storiella del saggio che indica la luna e dello stolto che si limita a guardare
il dito.
Un’ultima notazione; il titolo
è mutuato da un post di Dino Amenduni : https://www.proformaweb.it/blog/cosa-fare-per-contribuire-allecologia-del-dibattito-pubblico-slide/.
Da leggere.