Caro Francesco,
uso i social, al pari della
Tua scelta (http://www.cvinrete.it/index.php/component/k2/item/3497-con-una-lettera-aperta-francesco-crescente-lascia-il-partito-democratico),
per dirTi che leggere del Tuo abbandono del PD mi ha provocato un profondo
rammarico ed una infinita ed insopportabile amarezza;
un profondo rammarico, per
la perdita di un democratico impegnato ed appassionato, compagno di tante
battaglie condotte insieme, anche se nel tempo via via diradate quanto alla
scelta delle medesime appartenenze; sono convinto che ogni uscita da un partito
politico sia in primo luogo una sconfitta per il partito stesso;
una infinita ed insopportabile
amarezza per la spettacolare modalità scelta e, ancor più, per le motivazioni
addotte.
Tu stesso annoti che “… in
tanti, in questi anni, silenziosamente hanno abbandonato il partito, altri lo
faranno …”; aggiungo io in modo (certo doloroso per entrambe le parti ma)
condivisibilmente dignitoso, senza fare ricorso a cangianti platee social –
mediatiche nella rincorsa narcisistica di un evanescente apparire, sia pure soltanto
per un fuggevole e labile attimo, apparire che lascia sempre più in ombra una
ben più concreta sostanza di doti personali, anche a costo di calpestare valori
di coerenza e, appunto, dignità e rispetto verso se stessi e verso gli ex compagni ed amici di partito;
non condivido affatto una tale
superfetazione mediatica di un’istanza, che ben avrebbe
potuto (e dovuto) essere svolta nelle confacenti sedi di partito, con una
comunicazione al segretario del circolo o, ancora più coerentemente, con un
annuncio recato personalmente in una delle tante riunione di direttivo tenute
in sede.
Ancor più infinita e
sofferente amarezza provo per le motivazioni addotte, le
quali sono raffazzonate alla bell’e meglio in una insopportabile ed indigesta
macedonia in salsa pseudogrillina;
la arida, infeconda e confusa
elencazione degli addebiti che muovi (alcuni dei quali peraltro meritevoli di
approfondimento, ma, ritengo personalmente, all’interno del partito) appare
piuttosto un anarcoide caleidoscopio di argomenti di bassa demagogia,
conditi da una profonda vena nostalgica di un passato che non tornerà, in
quanto consegnato (anche da noi stessi) alla storia;
alla fitta e ricercata
enumerazione manca soltanto che si addebiti al PD l’elezione di Papa Francesco,
i terremoti de L’Aquila e di Amatrice ed Accumoli, la sconfitta di Hillary
Clinton e la vittoria del sesto scudetto della Juventus per assurgere ad una
fantasmagorica panoplia di elementi, che ambisca ad una totalità pantocratica
dei destini dell’intero universo.
Il punto, in realtà, è ben
altro; il Partito Democratico è un partito nuovo,
nato recentemente (per i tempi della politica) dall’unione di diverse, se pur
analoghe e contigue, culture politiche, eppure è un partito di massa,
strutturato ed organizzato, capillarmente presente sul territorio, vivo
(aggiungerei, faticosamente e dolorosamente vivo), tanto da essere oggi
l’unico esempio di tale modalità di soggettività politica nel panorama
italiano, con corrispondente riconoscimento elettorale che lo porta ad essere
il primo (o il secondo, secondo le umorali variazioni dei sondaggi) partito.
Un partito di siffatte
caratteristiche e dimensioni elettorali non può sottrarsi alla responsabilità di
governo di una nazione e di uno stato che sono tra i fondatori della
Comunità europea e tra gli storici partecipanti dei vari G7 e via crescendo,
oltre alla partecipazione determinante alle Nazioni unite ed al mondo /civiltà occidentale
nel suo complesso.
E governare significa fare
scelte, che possono anche essere non condivise o non al meglio
delle possibilità, ma che certamente non possono essere stigmatizzate di mera
conservazione o bieca gestione di potere; le scelte fatte dal PD negli ultimi
anni si leggono attraverso una coerente filigrana di tentativo di
modernizzare il paese, scrostandolo dalle secolari paralisi che ne
hanno impedito il pieno sviluppo sociale, politico ed economico;
senza l’esperienza di Renzi,
oggi certamente saremmo tutti rappresi in dibattiti ombelicali relativi a
governi balneari (o magari già spiaggiati), rigorosamente strutturati all’ombra
mefitica del manuale Cencelli, e tutti programmaticamente tesi verso
tranquillizzanti e narcolettici obiettivi pret a porter, lontani da una reale
ed incisiva innovazione e modernizzazione della società italiana, tanto quanto
lo è Alpha ursae minoris da Canopo;
senza l’esperienza di Renzi, il
dibattito politico (già oggi abbastanza avvitato su se stesso ed asfittico nella
prospettiva della costruzione di progetto di futuro) sarebbe una sorta di
patologico onfalocele del panorama italiano.
E tutto questo è possibile
realizzare soltanto se si ben chiaro il senso e l’orgoglio della appartenenza
alla comunità partito, all’interno del quale la maggioranza
assume responsabilmente le proprie scelte, attraverso un confronto ampio, serrato
e non prevaricatorio, e la minoranza incalza criticamente e dialetticamente, proponendo
la propria visione differenziale, senza disseminare il cammino di strumentali
trappole parlamentari.
Certo, non tutto è stato rose
e fiori, non tutto è pienamente condivisibile, e di
tanto ne sia testimonianza il mio sostegno dato ad Orlando nelle ultime
primarie per la designazione del segretario del partito, sia nella fase
riservata ai soli iscritti, sia in quella aperta agli elettori e simpatizzanti.
Restano granitici problemi
come la costante perdita di consenso o la composizione sempre più anziana del
nostro elettorato, oltre la marea montante della strumentale demagogia che si
nutre a piene mani dell’antipolitica, per restare nell’ambito del partito e
tralasciare i drammatici dilemmi e le angosciose difficoltà che attanagliano la
società italiana.
Ma tutto questo, a mio
personale giudizio, non legittima l’abbondono della nave sulla quale si è navigato
sino ad un minuto prima e, soprattutto, non legittima una
costruzione argomentativa, finalizzata a tentare di giustificare
l’abbandono, tutta racchiusa in un’ottica demolitiva ed ipercritica, sino a
sfiorare la più surrettizia delle denigrazioni.
Costruzione argomentativa che
rievoca sullo sfondo una profonda nostalgia per una comoda posizione di testimonianza
ipercritica, lontana dalle necessarie scelte dovute ad una concreta azione di
governo, che voglia innovare e non soltanto galleggiare sull’esistente
conservativo del potere gestionale.
Ti auguro, come Tu dici, di
continuare ad esercitare l’attività politica, che, come ebbe ad
affermare Paolo VI, è la “più alta forma di carità”, ponendo le proprie
modeste capacità personali al servizio della collettività; a me auguro di
poterTi nuovamente incontrare, uniti fianco a fianco per raggiungere mete
comuni.
Mi fermo qui, non senza
appropriarmi di una delle sfolgoranti battute dell’ineffabile Jep Gambardella,
fascinoso e raffinato protagonista de La grande bellezza: "la più consistente scoperta che ho
fatto, pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni, è che non posso più
perdere tempo a fare cose che non mi va di fare ..."; personalmente preferisco
coltivare “… gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza …”.
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