lunedì 1 dicembre 2014

Elezioni regionali 2014 tra astensione e vittoria (parziale)


Nell’ultima tornata elettorale delle regionali, il dato più rilevante appare l’astensionismo, che diviene maggioritario rispetto alla percentuale dei votanti; il 56% di astenuti è il dato più alto nella serie di appuntamenti elettorali calabresi.

Le motivazioni sono diverse e riassumibili in tre considerazioni:                                                                                        
·         il dato finale, ampiamente scontato nella prevista vittoria di Oliverio e della coalizione di centro sinistra, ha reso meno determinante la partecipazione al voto, relegandola al ruolo di scelta della composizione del Consiglio regionale; la interruzione traumatica della consiliatura, con la condanna di Scopelliti, e lo sfarinamento del centro destra hanno contribuito a rendere quasi inevitabile il risultato finale;
·         l’onda lunga della disaffezione, tracimante nella diffidenza e nel rancore nei confronti della politica, vissuta come autoreferenziale, attenta ai privilegi di casta e lontana dai reali bisogni dei cittadini;
·         il reflusso del voto di protesta del Movimento 5 stelle, che nei precedenti appuntamenti elettorali aveva recuperato quote di astensionismo; la forte flessione di voti sconta la scelta fatta dal Movimento di una sterile opposizione fondata sul presuntuoso assunto di essere l’unica e totale alternativa al vituperato sistema dei partiti; il dato regionale, preannunciato dal voto comunale di Reggio Calabria, relega il Movimento in un ruolo di assoluta irrilevanza istituzionale in Calabria;

tutte le cause appaiono, per altro, riconducibili alla matrice comune del diffuso giudizio sulla incapacità dei partiti di farsi interpreti e soggetti di riferimento politico dei bisogni dei cittadini.

Altro dato da evidenziare è la comune caratteristica, per i candidati della zona del Pollino, sia del centro sinistra che del centro destra, berlusconiano e non, di essere tutti ‘istituzionali’; difatti, ricoprono al momento della candidatura, ovvero hanno ricoperto in tempi recenti, ruoli istituzionali (Presidente Parco del Pollino, consiglieri regionali uscenti, ex sindaci, ex consiglieri provinciali uscenti, ex consiglieri comunali); tale dato conferma la scarsa incisività dei partiti nel processo di selezione della classe dirigente, individuando le figure da proporre all’elettorato nelle diverse competizioni elettorali; lo stesso sistema elettorale, di elezione diretta dei candidati a Presidente della Regione e dei Sindaci (e fino a ieri dei Presidenti delle Province) contribuisce ad alimentare tale deriva;

quasi tutte le scelte dei candidati sono state fatte al di fuori delle sedi proprie delle sezioni locali e del territorio, aumentando il distacco tra partiti, elettori e gli stessi iscritti, che vedono mortificato il loro ruolo di co-decisori dei processi politici;
la sostanziale impotenza delle sezioni territoriali dei partiti nel processo di selezione ha determinato una proliferazione di candidati all’interno del medesimo territorio, anche ristretto come numero di elettori, causando una frammentazione foriera di una successiva assenza di rappresentanza del territorio medesimo; la mancata funzione di mediazione tra i vari aspiranti candidati è ulteriore abdicazione dei partiti al loro ruolo storico.

Le rilevate cause di diserzione delle urne e i delineati motivi di scelta di candidature ‘istituzionali’, come le più in grado di convogliare consensi, grazie al ruolo svolto, sono per altro due facce di uno stesso Giano: il momento di profonda crisi identitaria e di funzione (oltre che organizzativa) dei partiti.

La scelta di rispondere a tale situazione con modelli di one man’s party, costruito ad immagine e somiglianza del leader, o di partito leggero o liquido relegato a mera funzione di comitato elettorale, non si è rivelata efficiente;
il partito del leader esiste e vince in quanto esiste e vince il leader: emblematica la parabola del Movimento 5 stelle e la fase di irreversibile crisi di Forza Italia;
il partito comitato elettorale porta a votare soltanto i sostenitori di uno o dell’altro candidato che sono ritenuti in possesso di probabili chance di vittoria, con alti tassi di astensione, come insegna l’esperienza americana;

in questa contesto è urgente ed ineludibile riflettere con un serio ed articolato dibattito all’interno delle sezioni locali del partito sulla natura e funzione dello stesso, interrogandoci come l’organizzazione partito possa tornare ad essere il soggetto politico di riferimento degli iscritti e degli elettori, rivendicando a sé il compito di attore politico essenziale;

l’avviato dibattito all’interno del PD sullo statuto è un’occasione irrinunciabile per dare corpo al partito che verrà, radicandolo nella migliore tradizione riformista italiana, riunendone le componenti comunista, socialista, cristiana, laica e libertaria, ambientalista, ed organizzandolo come soggetto aperto ed interlocutore naturale della società;

le sperimentazioni in corso dal marzo 2014 sul territorio nazionale testimoniano, da un lato, la vitalità del PD, e, dall’altro, la possibilità di costruire dal basso un nuovo soggetto politico che non sia né un one man’s party, né un comitato elettorale;

all’inizio di questo percorso “codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, dal momento che il nuovo partito sarà il risultato dell’assunzione di responsabilità di ciascuno degli iscritti e degli elettori ed attraverso questo percorso di lavoro maturerà una nuova identità.

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