Nell’ultima tornata elettorale
delle regionali, il dato più rilevante appare l’astensionismo, che diviene
maggioritario rispetto alla percentuale dei votanti; il 56% di astenuti è il
dato più alto nella serie di appuntamenti elettorali calabresi.
Le motivazioni
sono diverse e riassumibili in tre considerazioni:
·
il dato finale, ampiamente scontato nella
prevista vittoria di Oliverio e della coalizione di centro sinistra, ha reso
meno determinante la partecipazione al voto, relegandola al ruolo di scelta
della composizione del Consiglio regionale; la interruzione traumatica della
consiliatura, con la condanna di Scopelliti, e lo sfarinamento del centro
destra hanno contribuito a rendere quasi inevitabile il risultato finale;
·
l’onda lunga della disaffezione, tracimante
nella diffidenza e nel rancore nei confronti della politica, vissuta come
autoreferenziale, attenta ai privilegi di casta e lontana dai reali bisogni dei
cittadini;
·
il reflusso del voto di protesta del Movimento 5
stelle, che nei precedenti appuntamenti elettorali aveva recuperato quote di
astensionismo; la forte flessione di voti sconta la scelta fatta dal Movimento di
una sterile opposizione fondata sul presuntuoso assunto di essere l’unica e
totale alternativa al vituperato sistema dei partiti; il dato regionale, preannunciato
dal voto comunale di Reggio Calabria, relega il Movimento in un ruolo di assoluta
irrilevanza istituzionale in Calabria;
tutte le cause appaiono, per
altro, riconducibili alla matrice comune del diffuso giudizio sulla incapacità
dei partiti di farsi interpreti e soggetti di riferimento politico dei bisogni
dei cittadini.
Altro dato da evidenziare è la
comune caratteristica, per i candidati della zona del Pollino, sia del centro
sinistra che del centro destra, berlusconiano e non, di essere tutti
‘istituzionali’; difatti, ricoprono al momento della candidatura, ovvero hanno
ricoperto in tempi recenti, ruoli istituzionali (Presidente Parco del Pollino,
consiglieri regionali uscenti, ex sindaci, ex consiglieri provinciali uscenti,
ex consiglieri comunali); tale dato conferma la scarsa incisività dei partiti
nel processo di selezione della classe dirigente, individuando le figure da
proporre all’elettorato nelle diverse competizioni elettorali; lo stesso
sistema elettorale, di elezione diretta dei candidati a Presidente della
Regione e dei Sindaci (e fino a ieri dei Presidenti delle Province)
contribuisce ad alimentare tale deriva;
quasi tutte le scelte dei
candidati sono state fatte al di fuori delle sedi proprie delle sezioni locali
e del territorio, aumentando il distacco tra partiti, elettori e gli stessi
iscritti, che vedono mortificato il loro ruolo di co-decisori dei processi
politici;
la sostanziale impotenza delle
sezioni territoriali dei partiti nel processo di selezione ha determinato una
proliferazione di candidati all’interno del medesimo territorio, anche
ristretto come numero di elettori, causando una frammentazione foriera di una
successiva assenza di rappresentanza del territorio medesimo; la mancata
funzione di mediazione tra i vari aspiranti candidati è ulteriore abdicazione
dei partiti al loro ruolo storico.
Le rilevate cause di diserzione
delle urne e i delineati motivi di scelta di candidature ‘istituzionali’, come
le più in grado di convogliare consensi, grazie al ruolo svolto, sono per altro
due facce di uno stesso Giano: il momento di profonda crisi identitaria e di
funzione (oltre che organizzativa) dei partiti.
La scelta di rispondere a tale
situazione con modelli di one man’s party, costruito ad immagine e somiglianza
del leader, o di partito leggero o liquido relegato a mera funzione di comitato
elettorale, non si è rivelata efficiente;
il partito del leader esiste e
vince in quanto esiste e vince il leader: emblematica la parabola del Movimento
5 stelle e la fase di irreversibile crisi di Forza Italia;
il partito comitato elettorale
porta a votare soltanto i sostenitori di uno o dell’altro candidato che sono
ritenuti in possesso di probabili chance di vittoria, con alti tassi di
astensione, come insegna l’esperienza americana;
in questa contesto è urgente ed
ineludibile riflettere con un serio ed articolato dibattito all’interno delle
sezioni locali del partito sulla natura e funzione dello stesso, interrogandoci
come l’organizzazione partito possa tornare ad essere il soggetto politico di
riferimento degli iscritti e degli elettori, rivendicando a sé il compito di
attore politico essenziale;
l’avviato dibattito all’interno
del PD sullo statuto è un’occasione irrinunciabile per dare corpo al partito
che verrà, radicandolo nella migliore tradizione riformista italiana,
riunendone le componenti comunista, socialista, cristiana, laica e libertaria,
ambientalista, ed organizzandolo come soggetto aperto ed interlocutore naturale
della società;
le sperimentazioni in corso dal
marzo 2014 sul territorio nazionale testimoniano, da un lato, la vitalità del
PD, e, dall’altro, la possibilità di costruire dal basso un nuovo soggetto
politico che non sia né un one man’s party, né un comitato elettorale;
all’inizio di questo percorso
“codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”,
dal momento che il nuovo partito sarà il risultato dell’assunzione di
responsabilità di ciascuno degli iscritti e degli elettori ed attraverso questo
percorso di lavoro maturerà una nuova identità.
Apprezzo la tua analisi e ne faccio proprio il contenuto. Domenico
RispondiElimina