La vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera di lunedì
scorso, tutta giocata su una ‘reinterpretazione’ della sigla del Partito
Democratico, riesce ad essere una emblematica istantanea dell’attuale
situazione del partito.
Sembra infatti che le due linee apparentemente prevalenti
siano quella di Renzi, sempre più sull’abbrivio dell’one man’s party, e l’altra
nostalgica e celatamente (ma non tanto) frazionistica di Pippo Civati.
Un partito, che è il naturale erede della stagione dell’Ulivo
e nasce sul terreno fecondato da quella esperienza, non merita prospettive così
anguste, specie quando diviene il riferimento del 40% degli elettori.
È ineludibile coltivare altre strade e visioni;
profetiche suonano oggi le parole
pronunciate da Aldo Moro nel suo intervento al Consiglio Nazionale DC, il 18
gennaio 1969:
“Parliamo, giustamente
preoccupati, di distacco tra società civile e società politica e riscontriamo
una certa crisi dei partiti, una loro minore autorità, una meno spiccata
attitudine a risolvere, su basi di comprensione, di consenso e di fiducia, i
problemi della vita nazionale (…) Noi vogliamo corrispondere sì, capendo e
facendo, all’inquieta richiesta della nostra società, ma ostruiamo poi
contraddittoriamente i canali che potrebbero portarne nel partito, proprio nel
partito, quella carica di vitalità e di attesa che è pure nel nostro paese.
Sicché essa finisce per riversarsi altrove, mettendo in crisi la funzione dei
partiti, i quali sovente fronteggiano dall’esterno, senza un’esperienza
interiore vissuta del dramma sociale del nostro tempo, le situazioni che si
presentano e spesso si esauriscono senza autorevole mediazione, nella società
civile”.
Occorre solo il coraggio di percorrerle e perseguirle fino in
fondo.
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