La recente sentenza della Cassazione penale, che ha annullato
la sentenza di condanna del miliardario svizzero Stephen Schmideiny, imputato
del reato di disastro ambientale per la fabbrica di Eternit di Casale
Monferrato, ha creato una forte reazione critica.
In realtà, oggetto del giudizio era esclusivamente
l'esistenza o meno del disastro ambientale, la cui sussistenza è stata
affermata dalla Corte, che ha dovuto, però, prendere atto dell'avvenuta
prescrizione del reato, essendosi l'evento consumato con la chiusura degli
stabilimenti Eternit avvenuta nel 1986, data dalla quale è iniziato a decorrere
il termine di prescrizione, per come puntualmente precisato in un comunicato
della medesima Corte di Cassazione.
In altri termini, i giudici non hanno potuto fare altro che
prendere atto di quanto dispone la legislazione vigente in tema di tempo entro
il quale deve emettersi una sentenza definitiva di condanna del reo.
D’altro canto, il processo Eternit è in buona compagnia, come
documenta Legambiente nel suo dossier sugli ecoprocessi; “Il reato è estinto
per intervenuta prescrizione” è un “verdetto” che si ripete e che accomuna
ormai molti dei più importanti processi penali italiani su reati e disastri
ambientali come quello riguardante la discarica di Pitelli (La Spezia) al
centro di un traffico di rifiuti, il petrolchimico di Porto Marghera, la
discarica del Vallone all’isola d’Elba, il processo Artemide sui rifiuti
interrati nella piana di Sibari, in Calabria, o il processo Cassiopea, quest’ultimo
definito come una delle più grandi inchieste mai fatte in Italia nell'ambito
della gestione illecita dei rifiuti. Altri processi, ancora in corso, sono a
rischio di prescrizione (http://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/disastri-impuniti-la-mappa-dell-italia-ferita-e-bloccata-dagli-ecocriminali-e-d).
Trovo oggi fortemente ipocrita il coro di voci che si è
levato per una urgente (?!) modifica della disciplina della prescrizione, nel
senso di allungarne i tempi;
a parte la considerazione che, invece di allungare i tempi
per definire i processi, sarebbe più logico e, soprattutto, più civile e
giusto, porsi l’obiettivo di abbreviare la durata degli stessi, sia civili che
penali, è sufficiente richiamare alla memoria il (a tratti furente) dibattito
di qualche tempo fa, che ha preceduto l’introduzione della normativa che abbreviava
sensibilmente i tempi di prescrizione (Cicero pro domo sua …); testimonianza purtroppo
indelebile di un uso spregiudicato delle istituzioni, utilizzate per fini
personali e non nell’interesse pubblico
oggi, si vuole ripercorrere la strada inversa, con una
proliferazione di modifiche legislative, che definire schizofrenica apparirebbe
come un complimento.
Il dato più rilevante è, però, quello più squisitamente
politico, che nel dibattito seguito alla pronuncia della Cassazione, tutto
focalizzato sul singolo provvedimento, è risultato del tutto defilato;
la produzione di Eternit è stata realizzata (per vero, in un
tempo in cui la consapevolezza ambientale non era così attenta e vigile come
oggi) senza tenere in debito conto le conseguenze negative possibili (e poi
rivelatesi drammaticamente vere) dei metodi e delle sostanze usate nel processo
produttivo;
l’interesse del capitale privato è stato assolutamente
prevalente rispetto all’interesse pubblico ad una vita ed un ambiente sani e
salubri, sino a determinare un notevole danno in termini di ambiente e di vite
umane, con un rilevantissimo costo sociale (riservando, per contro, al privato
un lucroso profitto);
basti pensare che i costi sopportati dall’Inail per le sole
prestazioni mediche ai lavoratori colpiti dalle patologie provocate
dall'amianto ammontano 280 milioni di euro, che non si recupereranno più perché
il verdetto della Cassazione ha annullato in radice il processo.
Tale pericolosa filosofia fa il paio con altri episodi
lontani (come il famigerato Talidomide) o più vicini nel tempo (i pediatri che
prescrivono l’allattamento artificiale, anche se non necessario), in cui è l’interesse
(superiore ?!) della produzione industrialmente organizzata a dettare le
regole, massimizzando il profitto per il privato e trasferendo sul pubblico e
la collettività i danni e i relativi costi.
Pericoloso epigono di tale impostazione appare oggi il Trade
And Investment Partnership – TTIP -, il trattato di libero scambio in
discussione tra Europa, Usa e Canada;
il dato più singolare e preoccupante di tale documento è la
sua blindata secretazione, per cui non è noto né lo stato della discussione, né
tantomeno il suoi contenuti specifici, salvo alcune rare indiscrezioni;
un trattato che ha la pretesa di regolare per i prossimi
decenni la produzione e la commercializzazione dei beni tra i paesi
partecipanti, unificando gli standard di comercializzazione degli stessi, ha il
dovere della massima trasparenza, atteso il notevole divario della normativa in
tema di sicurezza, in particolare degli alimenti, tra la normativa europea e
quella di USA e Canada;
va quindi sostenuta l’iniziativa dei responsabili di
"Stop Ttip", che unisce 320 organizzazioni di 24 Paesi, che hanno
raccolto in due mesi più di un milione di firme di cittadini europei contrari
al trattato, per bloccare il negoziato o per ricominciarlo su basi
completamente diverse, (http://www.repubblica.it/economia/2014/12/05/news/un_milione_di_firme_contro_il_libero_scambio_dagli_ogm_ai_farmaci_le_paure_degli_europei-102158371/).
Ma di questo parleremo più approfonditamente in un prossimo
post.
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